RANDOM DELICATESSEN
musiche brutte
mercoledì 29 agosto 2007
Nonhorse - “My First Moth/Gun Tears” (Tanzprocesz, 2007)
Mi è già capitato di parlare altrove (sul solito Blow Up, per intenderci) della scena “no/ out / noise / brut / quellochevoletevoi” francese. È, probabilmente, l’unica in Europa che può tenere testa ai materiali provenienti dagli USA, e questo non tanto – o non solo – per la qualità delle uscite in sé, quanto per tutto l’apparato estetico e di immaginario che circonda quella galassia di nomi, situazioni, idee che va da Parigi a Marsiglia, passando per Bordeaux. Pensate a Le Dernier Cri, tanto per capirci. Pensate a Bimbo Tower, a Un Regard Moderne, a La Miroiterie. E pensate anche a Tanzprocesz, perché no.

Dell’etichetta parigina, ancora una volta, mi sono occupato non molto tempo fa, sulle consuete pagine del consueto mensile musicale. A gestirla ci pensa Jonathan, che da parte sua suona anche nei Placenta Popeye (per loro in uscita un book+cdr targato proprio Le Dernier Cri), e ogni tanto a dargli una mano ci pensa Jonas, dalla sua artista visivo/fumettista ecc, che cura una minuscola fanzine chiamata Nazi Knife e che fa qualche comparsata anche sull’ultimo Hopital Brut. La Tanzprocesz fino ad ora non ha pubblicato tantissime cose, ma già si è ritagliata un seguito presso certi ben noti canali underground – europei e non – che l’hanno infine portata a produrre materiali provenienti un po’ da ogni dove. Soprattutto è forte il legame con gli Stati Uniti sia degli Slicing Grandpa (gruppo storico che all’etichetta francese deve molto in termini di riscoperta), sia del giro Deathbomb Arc & co. (cdr per Gang Wizard, Kevin Shields ecc), per non dire delle uscite a nome Robedoor e ovviamente Smegma.

L’ultimo cdr in catalogo è quello di Nonhorse, da Brooklyn, ai più noto col vero nome di Gabriel Lucas Crane, già nei Wooden Wand & The Vanishing Voice. Se avete presente i suoi materiali apparsi su Release The Bats e Fuck It Tapes, o se conoscete un minimo il personaggio, potete immaginarvi i contenuti anche di questo piccolo gioiello di packaging homemade (confezione in cartone che una volta che la apri spunta il “pop up”: avete presente quei libri per bambini, no?): ecco allora un’elettronica semirock improvvisata, molto scarna, grezza e sgraziata, e ovviamente non di rado psichedelica, che ogni tanto fa pensare a qualche concretismo abbrutito, e ogni tanto si diluisce in lente, nebbiose, figure sullo sfondo. Crane parla di Nonhorse come di un “Philip Glass crossed with atari 2600 or the sound of a million fingers on a million chalkboards”: solite definizioni altisonanti che non significano niente e che per questo dicono tutto. Da parte mia, in questo “My First Moth/Gun Tears” mi è parso addirittura di sentire echi del Roberto Cacciapaglia periodo “Sonanze” (ascoltate Hollendek DDD), e di sicuro posso dire questo: 100 volte meglio Nonhorse che una qualsiasi cosa a firma Vanishing Voice.

E adesso tutti a Parì.

mercoledì 22 agosto 2007
Long Long Chaney tribute

Da ieri, la trevigiana Long Long Chaney non esiste più. Niente per cui rattristarsi, per il semplice fatto che a sostituirla ci penserà una nuova etichetta chiamata – a quanto pare – Second Sleep, le cui prime uscite sono già dietro l’angolo. E però ugualmente mi dispiace, se non altro perché io, la Long Long Chaney, avevo cominciato a frequentarla solo da poco. Quindi mi sembra giusto celebrarne le gesta in extremis, raccontando di quelle poche uscite che conosco personalmente, anche se di altre mi riservo di parlarne (al solito) altrove.

Tre nastri, quindi. Il primo è un po’ vecchiotto (risale, se non sbaglio, alla fine del 2006), ma è il mio preferito e quindi non posso che cominciare da lui: il canadese Bob McCully, meglio noto come Women In Tragedy, è una specie di versione doom degli Skaters. “Daughters of Isolation” si apre con un lato A che è un guazzabuglio di voci e sfuriate noise in lontananza, registrato malissimo e per questo ancora più cattivo, piacevole come un dissanguamento forzoso. Il lato B parte come un mantra vocale che monta lento su spirali vieppiù rumorose, la grana diventa più spessa, i delay si allungano, e alla fine a restare è solo una nebbia malefica. In giro ho scovato paragoni con Xasthur e Leviathan, il che in fondo ci sta tutto: le atmosfere in fondo sono quelle, un’eco distorta di black metal passata in centrifuga e messa ad essiccare al buio, qualsiasi cosa voglia dire quanto appena scritto. Grandioso.

Knife City è un altro progetto da considerarsi concluso (il tipo, tale Brenden, è al momento impegnato come Drenches e suona anche in gruppi con nomi quali Caged Virgins, Abysmal Rain e Certain Failing). Il suo “Swoon Tree” è una prova abbastanza classica di pura power electronics old school: venti minuti di fischi e rimbombi, che se su un lato procedono per ronze tendenti all’infinito, dall’altro vanno molto più a singhiozzo, incartandosi in pause, spezzettamenti e balbuzie da giorno del giudizio. Brenden sostiene di essere influenzato soprattutto da Lasse Marhaug e Pain Jerk, ma secondo me un poster in camera di M.B. e Mathausen Orchestra ce l’ha.

E infine veniamo al padrone di casa, Kam Hassah. Delle tre cassette, quella a suo nome (“Heavy Curtains” il titolo) è quella che ascoltato di più. La musica di Kam Hassah è un soffio pesantissimo che pare fatto di nulla, tutto un fluttuare sottotraccia di fuliggine e polveri sparse, che per comodità potremmo ridurre alla voce “dark drone”. Va ascoltata a volume alto per comprenderne le trame e i giochi di ombre, eppure il sottoscritto preferisce tenersela in sottofondo, e anzi, posso dire che proprio in questi giorni – passati, per motivi che non sto a spiegare, a ripassare argomenti quali Kriminal, Umberto Lenzi e Antropophagus – è stata una colonna sonora ideale. Chissà se l’ex signor Longlongchaney, futuro mr Second Sleep, apprezzerà. Intanto date un’occhiata qui, se volete vederne le gesta dal vivo.

mercoledì 8 agosto 2007
V.A. – “The Fruit Will Rot Vol. 3” (Deathbomb Arc, 2007)
Terzo capitolo della serie Fruit Will Rot di casa Deathbomb Arc, nove cdr 3” per altrettanti progetti di musica “elettronica”, ciascuno alle prese con materiale inedito: ecco l’ultima uscita della label di Brian Miller, con tanto di (ormai siamo abituati) confezione-gioiello da tenere in bella mostra sullo scaffale. La cosa interessante è che i gruppi qui presenti si danno da fare con un’elettronica perlopiù costruita sul beat o quantomeno su qualche architettura traballante. E d’accordo, sono sempre architetture stuprate e offese, ma insomma, almeno non è la solita uscita harsh-punto-e-basta.

Il primo cd è di Vankmen: speedcore a manetta, gabber a velocità quadrupla, e come parentesi un po’ di frequenze ultradistorte; il pezzo più lungo dura due minuti e quarantacinque secondi ed è una specie di suite coattissima con in mezzo grugniti, rullate breakcore e sfuriate industrial.
Atmosfere appena un po’ più composte (si fa per dire) per Mincement Or Tenspeed, che almeno tiene i bmp sotto soglie decenti e armeggia più che altro con una forma di rozzissima elettronica homemade mai troppo urticante (voglio dire: per chi almeno questi suoni li frequenta). A suo modo, persino musicale: ascoltatevi Queen Bee.
I Tik//Tik fanno una specie di industrial music demenziale, ogni tanto c’è persino qualche traccia di canzone (Jazz Piggy), e chiudono con una No Rest in due parti che è puro caos trashissimo.
Gli Unicorn Hard-On sono praticamente il motivo per cui ho comprato questa raccolta, e come al solito non deludono: due lunghe tracce di nove minuti l’una, assurdiste e colorate, tutte saltelli e suonetti scemi, un po’ videogame un po’ psichedelia per infanti. In mezzo alle brutture contenute negli altri cd fanno un’impressione strana, direi di tenerezza – e meno male che ci sono, dico io.
Realicide è un altro cafone che fa shit-electro tutta drill e crash e bum e bam. Da segnalare una traccia numero sei piuttosto stralunata, lenta e con un che di blueseggiante (più o meno), che lo fa assomigliare a una versione amatoriale di Foetus.
Poi: da uno che si fa chiamare Toilet e che riempie il suo 3” di sedici tracce della durata media di un minuto e trenta seconda l’una, che vi aspettate? E invece accidenti, è una delle prove migliori. Se capisco bene il tipo è svedese, il che spiega in parte l’eccentricità della proposta rispetto ai colleghi di compilation: siamo, per sommi capi, molto vicini a certa electro-plunder-gabba (la definizione l’ho inventata adesso) di casa Wwilko, con in più qualche spruzzata alla Otto Von Shirach che non fa mai male, fitta di sample bizzarri e stranezze di ogni sorta. Il risultato è un collage che pesca a caso tra musichette folk, rigurgiti metal, scelleratezze disco e raddoppi techno, per una musica che non sta mai ferma, sempre su di giri, sempre allegra. Il sito del nostro si chiama “be happy or die”, quindi capite da voi.
Nero’s Day at Disneyland è un altro schizzato che ha pubblicato anche su Cock Rock Disco, il che più o meno lo avvicina, se non altro per attitudine, allo stesso The Toilet, anche se qui il suono è molto più incastrato e barattoloso rispetto a quello dello svedese succitato. Non male, ma un paio di anni fa mi avrebbe divertito di più.
Gli Eustachian sono un altro progetto un po’ speedcore un po’ cazzeggio-music, che è un po’ la controparte elettronica della merda-music inventata dal famigerato Federico Savini sulle pagine di un noto forum musicale italiano, e che adesso vanta persino una room clandestina dalle parti di Soulseek. In sé le nove tracce del loro 3” non sono male, ma arrivati a questo punto il vostro è sfinito: sono quasi due ore e mezza che "Fruit Will Rot Vol.3" assilla il vicinato, e un po’ sta assillando anche me. Otto cdr, sebbene in formato 3”, messi assieme possono essere molto lunghi.
Così, quando arriva la volta dei Beach Balls , e alla prima traccia vengo aggredito da una scarica di power electroncis a 600 bmp, non reggo più. Fortunatamente quello che segue varia tra parodie hip hop (una cosa intitolata, curiosamente, Skip This Track: Seriously) e allunghi drone-subliminali (Case Sensitivity), prima di chiudere con la solita sfuriata harsh a titolo Funky Punch, che dalla sua vanta anche una coda simil-electro.

Che dire, è interessante notare il flirt, non ancora sbocciato appieno, tra i sottoboschi di area (sommariamente) out-noise e le frange più deliranti di certa musica digitale. Il periodo d’oro dei vari Jason Forrest, lo stesso Von Schirach, e perché no Passenger of Shit è passato da un po’, ma lo sposalizio era nell’aria. Senza contare che la Deathbomb Arc ha sempre avuto un occhio di riguardo per certa elettronica “obliqua”, e un tipo come Captain Ahab può confermare. Se poi quella del terzo volume di “The Fruit Will Rot” è veramente una tendenza, come afferma esplicitamente il sito dell’etichetta (“this 3rd set focuses on a new groing trend in music. The trend of blurring the line between noise and beat driven electronics”) lo dirà il tempo. Intanto un’altra raccolta-monstre tanto assassina quanto, a dosi controllate, estremamente divertente.