RANDOM DELICATESSEN
musiche brutte
giovedì 11 ottobre 2007
Elephant Kiss "Introduce: Red Cat Green Cat" (Jk Tapes, 2007); Silver Daggers/Child Pornography - Split (Jk Tapes, 2007)
La JK Tapes continua a fare uscire materiali al solito belli e interessanti, quasi tutti su cassetta. I due che seguono sono fuori già da un po’ (da prima dell’estate, più o meno). Ne parlo in ritardo cercando di recuperare il tempo perduto, ma intanto sappiate che il catalogo della label di Peter Friel continua, nel suo piccolo, a ingrossarsi.

Gli Elephant Kiss da Seattle fanno un pop scemo e infantile tutto tastierine, voci stonate, drum machine tentennante e sapori vagamente queer. Per dire, i nostri Trouble Vs. Glue dovrebbero dargli un’ascoltata: è una musica da party, ecco, ma di quei party che vanno a finire nell’ebetaggine causa troppo alcol, troppe droghe, troppi video su youtube quando ormai sono le quattro di notte e non si sa come intrattenere gli astanti se non andando a scovare qualche improbabile spezzone della tv di stato bulgara. Super Magic Bicycles potrebbe essere l’hit di un nastro che di melodie, nonostante la brevissima durata, ne prevede in abbondanza; solo che queste sono sempre maltrattate, istupidite e rese snervanti da un’imperizia attitudinale che, giuro, alle volte sa essere deprimente (lo stesso tipo di depressione di quando dalla tv bulgara si passa a quel cantante amatoriale su TeleRomagna, per dire). Adorabili.

Lo split tra Silver Daggers e Child Pornography mette assieme due delle formazioni più amate dal recente underground USA, e infatti non delude. Che dire, il lato appannaggio dei primi è un piccolo culto, se non altro perché alle improvvisate strumentali si alternano passaggi remixati dallo stesso WKSM (che del gruppo è uno dei fondatori). Quindi ecco che i brani assumono movenze meccaniche stranite e alterate, con momenti che fanno quasi pensare a una mutant disco da cantina, e poi leggere scansioni industriali e inni per macchine in disuso. Divertente e un pizzico paranoico, accidenti. Sui Child Pornography non mi sbilancio: ho una piccola venerazione per questa band, ma alla prova dei fatti devo dire che i materiali sentiti finora, al di là delle fisse personali, non hanno mai brillato in “compiutezza”: e certo che questa deve essere l’ultima delle preoccupazioni dei californiani, che intanto continuano a sollazzare il sottoscritto con lunari vignette che sembrano pescate dall’epoca d’oro Subterranean, Minimal Man & co, per poi essere gettate nella spazzatura differenziata riservata a “alimenti e sostanze organiche”. Per chi non li conoscesse, la descrizione del gruppo dal nome che più pericoloso non si può in epoca di caccia alle streghe, potrebbe essere la seguente: semi no wave elettronica con voce femminile in no-fi e canzonettismo acido al sapore di catrame. Come fare a non volergli bene.

mercoledì 3 ottobre 2007
Mok Nok - Slugstorm (Smittekilde, 2007)
Come esordirebbe la Signorina Stecchinese, “oh ciao, non ci sentiamo da un sacco”. Ma d’accordo, in Rete tutto è eterno, quindi passo subito alle “nuove proposte”, e chiudiamola qui (l’intro petulante, intendo).

Allora, parliamo dei Mok Nok. Che sono un gruppo di casa Smittekilde, per cominciare. Anzi, sono il gruppo di casa Smittekilde, sorta di laboratorio/etichetta danese tenuto in piedi da Zven, direttamente da Copenaghen. In catalogo solita tonnellata (abbastanza contenuta, invero) di fanzine, libri serigrafati, edizioni limitate, poster e – ci mancherebbe – pure qualche disco. Intanto però vi consiglierei di partire da quel piccolo capolavoro che è il libro dedicato al “cibo per gatti”. I nostri amatissimi amici felini (io ne ho tre, mia madre quattro, mio padre nove, giuro) in realtà non ne escono tanto bene: più che altro le illustrazioni li raffigurano come sgorbi mostruosetti anzichenò, e non parliamo del cibo in questione, un tripudio di scatolette che di stampa in stampa si trasformano in osceni blob color merda. Ma dovevamo parlare dei Mok Nok, giusto.

Dunque, il loro primo cd era un bell’esempio di pseudorock disarticolato con pure un’infamissima cover dei Velvet Underground. Questo secondo album, in rigorosa edizione vinilica, complica di molto la faccenda, fermo restando il mongolismo di base del duo (che oltre a Zven, contempla anche tale Soren).
Sostanzialmente si tratta di un freak-rock malaticcio e barcollante, che non infierisce mai e che piuttosto si tiene su binari weird-no-psichedelici, giusto per assecondare gli appassionati di lessico paramusicale. Certo, ogni tanto interviene qualche rasoiata a disturbare l’ascolto, ma la cosa interessante è che i brani sembrano sempre piuttosto “pensati”: forma e struttura degli stessi restano riconoscibilissime, l’improvvisazione occupa uno spazio si direbbe secondario, e a dominare è un sentimento stralunato, infantile, e un po’ acidello, ecco. Il paragone, sarà per la prossimità geografica, mi viene per esempio con l’ultimo Kemialliset Ystavat e relativo giro di assestamento finlandese: solo che qui il tutto è svolto in maniera “minore”, svogliata, direi pure dislessica. Gli strumenti sono abbastanza vari (oltre ai due Zven e Soren intervengono diversi altri collaboratori): violini e organetti accompagnano il consueto canovaccio chitarra/batteria, cosicché alla fine ne esce un suono colorato e piuttosto eterogeneo, che di tanto in tanto riesuma ascendenze kraute e pure qualche aspirazione free. La title-track in chiusura parte direttamente per la tangente Neu!, ed è anche il brano più lungo (dieci minuti), ma altrove affiora un chiaro spirito pop/sbilenco che fa di perle come Muzzleknines e Kuraku Naru Mae Ni dei piccoli anthem, perché no.

È un bel disco questo Slugstorm, veramente. Pensate, se ne è occupato anche Julian Cope.

In ultimo, tornando alle faccende private: chi è a Roma lunedì 8, non si dimentichi Spasticalia.