Da ieri, la trevigiana Long Long Chaney non esiste più. Niente per cui rattristarsi, per il semplice fatto che a sostituirla ci penserà una nuova etichetta chiamata – a quanto pare – Second Sleep, le cui prime uscite sono già dietro l’angolo. E però ugualmente mi dispiace, se non altro perché io,
Tre nastri, quindi. Il primo è un po’ vecchiotto (risale, se non sbaglio, alla fine del 2006), ma è il mio preferito e quindi non posso che cominciare da lui: il canadese Bob McCully, meglio noto come Women In Tragedy, è una specie di versione doom degli Skaters. “Daughters of Isolation” si apre con un lato A che è un guazzabuglio di voci e sfuriate noise in lontananza, registrato malissimo e per questo ancora più cattivo, piacevole come un dissanguamento forzoso. Il lato B parte come un mantra vocale che monta lento su spirali vieppiù rumorose, la grana diventa più spessa, i delay si allungano, e alla fine a restare è solo una nebbia malefica. In giro ho scovato paragoni con Xasthur e Leviathan, il che in fondo ci sta tutto: le atmosfere in fondo sono quelle, un’eco distorta di black metal passata in centrifuga e messa ad essiccare al buio, qualsiasi cosa voglia dire quanto appena scritto. Grandioso.
Knife City è un altro progetto da considerarsi concluso (il tipo, tale Brenden, è al momento impegnato come Drenches e suona anche in gruppi con nomi quali Caged Virgins, Abysmal Rain e Certain Failing). Il suo “Swoon Tree” è una prova abbastanza classica di pura power electronics old school: venti minuti di fischi e rimbombi, che se su un lato procedono per ronze tendenti all’infinito, dall’altro vanno molto più a singhiozzo, incartandosi in pause, spezzettamenti e balbuzie da giorno del giudizio. Brenden sostiene di essere influenzato soprattutto da Lasse Marhaug e Pain Jerk, ma secondo me un poster in camera di M.B. e Mathausen Orchestra ce l’ha.
E infine veniamo al padrone di casa, Kam Hassah. Delle tre cassette, quella a suo nome (“Heavy Curtains” il titolo) è quella che ascoltato di più. La musica di Kam Hassah è un soffio pesantissimo che pare fatto di nulla, tutto un fluttuare sottotraccia di fuliggine e polveri sparse, che per comodità potremmo ridurre alla voce “dark drone”. Va ascoltata a volume alto per comprenderne le trame e i giochi di ombre, eppure il sottoscritto preferisce tenersela in sottofondo, e anzi, posso dire che proprio in questi giorni – passati, per motivi che non sto a spiegare, a ripassare argomenti quali Kriminal, Umberto Lenzi e Antropophagus – è stata una colonna sonora ideale. Chissà se l’ex signor Longlongchaney, futuro mr Second Sleep, apprezzerà. Intanto date un’occhiata qui, se volete vederne le gesta dal vivo.
e ora come si fa